giovedì, agosto 30, 2007

L’innovazione e il Partito che non c’e’

Di innovazione parlano tutti i partiti, e quando ne discutono la mettono quasi sempre al centro della propria azione politica. Anche i partiti che ancora non esistono ci pensano, come il nascente Partito Democratico, che ha dedicato uno dei suoi primissimi laboratori politici al tema dell’innovazione. I risultati cui gli esperti che hanno partecipato al laboratorio sono pervenuti indicano due tematiche come strategiche per l’immediato futuro: le infrastrutture di rete e il miglioramento dei processi di e-Government. Argomenti assolutamente importanti: non c’e’ innovazione senza infrastrutture; e ciò non costituisce una novità, se è vero che anche la società industriale non si sarebbe sviluppata senza centrali elettriche e sistemi di comunicazione come le ferrovie e le strade. E non c’e’ innovazione senza una pubblica amministrazione moderna, che funzioni bene e non sia un peso per il sistema produttivo.
Ma l’innovazione non è solo questo. L’innovazione ci darà un futuro migliore, ma solo se la curiamo giorno per giorno. Ai telefonini e a Internet succederanno altre novità tecnologiche, che ci permetteranno di fare meglio, in maniera più economica e in minor tempo molte delle cose che oggi ci costano fatica. Innovare significa cambiare il modo in cui le persone lavorano e vivono e come le aziende sono organizzate, alla ricerca di efficienza e di compatibilità negli stili di vita di uomini e donne. Perchè ciò avvenga non bastano le tattiche come quelle sinora delineate, serve una strategia vera e propria, che metta al centro la produzione diffusa di innovazione. Ciò può avvenire solo se si salda stabilmente il rapporto tra centri di ricerca, imprese e pubbliche amministrazioni. Oggi questo rapporto semplicemente non esiste, almeno se si escludono pochi casi di eccellenza che però più che best practices sono oasi nel deserto. I Governi spendono poco, ma soprattutto male, con procedure burocratiche che rendono impossibile innovare davvero; le aziende cercano di conservare allo stremo i propri know how, senza preoccuparsi di incrementarli, e ciò facendo perdono competitività e neanche se ne avvedono; le Università, strangolate da vincoli di bilancio e da una politica miope che non affronta i costi reali della formazione, producono laureati e ricercatori che fuggono nei maggiori laboratori del mondo, dove oltre che il genio trovano anche i mezzi per lavorare.
Chissà, forse il vero Partito che non c’e’ è proprio quello dell’innovazione.

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