mercoledì, dicembre 17, 2014

Tra sciopero virtuale e Net Strike

Tra sciopero virtuale e Net Strike
Di Patrizio Di Nicola

1.
Di tanto in tanto riemerge, dai versanti più disparati, l’idea di “aggiornare” il diritto di sciopero utilizzando lo strumento dello “sciopero virtuale”. Un’idea non nuova, mossa dalla necessità di limitare i casi in cui l’interruzione del lavoro crea un disagio che va molto al di là delle parti in causa: ad esempio nel 1942 la Marina degli USA chiese ai lavoratori della Jenkins di Bridgeport, coinvolta nella produzione militare, di risolvere le loro questioni sindacali tramite uno sciopero virtuale. Tornando ai giorni nostri, nel 2008 il Senatore Pietro Ichino, all’epoca parlamentare del PD, avanzò con altri colleghi una proposta di legge intesa a regolamentare, a seguito di contrattazione, lo svolgimento di scioperi virtuali. L’idea forza della proposta era che, con la proclamazione dello sciopero, i lavoratori avrebbero continuato a svolgere regolarmente le proprie mansioni, rinunciando tuttavia alla retribuzione, mentre l’azienda sarebbe stata obbligata a devolvere a un’iniziativa socialmente utile una somma multipla dell’ammontare delle retribuzioni stesse. In questo modo i lavoratori potevano esercitare una pressione sulla controparte imprenditoriale in modo diretto, incidendo sul suo bilancio, ma senza recare pregiudizio agli utenti del servizio o alla collettività. La proposta non arriverà mai alla discussione in Aula. La proposta dello sciopero virtuale viene rilanciata nel 2009 dai Ministri Sacconi e Brunetta, che annunciano una legge delega intesa a riformare il diritto di sciopero nel settore dei trasporti. Questa volta, in nome del diritto alla mobilità dei cittadini, si cerca di introdurre l’obbligo per i sindacati che non superano il 50% degli iscritti del settore (praticamente tutti) di indire uno sciopero solo dopo aver vinto un referendum consultivo preventivo e si da la possibilità per il lavoratore che aderisce allo sciopero di prestare comunque la sua attività, pur perdendo la retribuzione che, insieme a una somma che deve erogare l’azienda, verrà destinata a fini sociali. Anche di questa proposta non si sentirà più parlare, e non certo per l’opposizione della CGIL, quanto per l’allarme suscitato dalla nuova norma tra le aziende di trasporto pubblico locale. Queste, normalmente dalle casse disastrate, hanno un chiaro interesse a che lo sciopero si mantenga reale e tradizionale. Per ogni giornata di sciopero esse risparmiano sull’erogazione degli stipendi agli scioperanti, sul consumo giornaliero di carburante e sull’usura dei mezzi, mentre continuano ad incassare gli abbonamenti anche se il servizio non è garantito. Con lo sciopero virtuale, al contrario, si vedrebbero costretti a versare comunque gli stipendi della giornata, più una quota aggiuntiva, ad un fondo esterno, e ciò a fronte soltanto del guadagno derivante dall’incasso dei biglietti singoli, che come noto coprono una percentuale molto bassa delle spese di circolazione dei mezzi pubblici. A prima vista il meccanismo è corretto (il lavoratore ci rimette la retribuzione, l’azienda ne ha un danno economico equivalente alla produzione di una giornata) se non che, per assurdo, le nuove forme di sciopero virtuale contribuirebbero a dissestare ancor di più le casse degli Enti pubblici che gestiscono i servizi, e ciò ricadrebbe su tutti i cittadini sotto forma di un extra costo fiscale per fruire del diritto – che già pagano – di usare un servizio. Quindi, se sciopero virtuale deve essere, i suoi costi non dovrebbero pesare sulla collettività neanche indirettamente.

2.
Non è un caso che quasi ogni volta che le cronache hanno riportato casi di sciopero “virtuale”, i lavoratori abbiano rinunciato alla retribuzione, ma l’azienda non abbia neanche pensato di devolvere fondi ad associazioni e Onlus, come vorrebbe la teoria e le ipotesi legislative. Ad esempio nel settembre 2012 i sindacati di Blue Panorama, la compagnia aerea italiana low cost, hanno indetto un pacchetto di 24 ore di sciopero del personale navigante; l'azione di protesta iniziò con uno sciopero virtuale di 4 ore, durante il quale i lavoratori hanno assicurato il servizio, rinunciando allo stipendio. Lo stesso hanno fatto i medici dell’Ospedale Universitario di Udine, che hanno assicurato le prestazioni ai pazienti, devolvendo 2 ore di retribuzione ad una Associazione sanitaria. Esiste ovviamente qualche eccezione, come nello sciopero del personale di volo di Meridiana del 1999: in quel caso l’azienda diede in beneficienza i guadagni dei biglietti emessi. Il ritorno di immagine fu probabilmente superiore alla spesa, in quanto con i circa 40 mila euro messi insieme dallo sciopero virtuale di 300 dipendenti fu possibile acquistare una sofisticata attrezzatura medica per un ospedale pediatrico. Il che dimostra che, come affermato da Ichino nel 2003 su La Voce.info, se fosse correttamente applicato lo sciopero virtuale costituirebbe una positiva innovazione nel sistema di relazioni industriali, ed eviterebbe che una città sia costretta a subire costi ben superiori a quelli derivanti dal rinnovo di un contratto.

3.
Naturalmente per i sindacati va scartata a priori l’idea di ricorrere allo sciopero virtuale in maniera esclusiva, e ciò sia perché il diritto a scioperare, seppur con i limiti derivante dai sacrosanti diritti dei cittadini, è garantito dalla Costituzione, sia perché questa forma di protesta può essere applicabile al di fuori dei servizi pubblici solo se accanto a chi protesta lavorando vi sono altri che invece si astengono realmente dal lavoro (e per ciò sono molto più visibili) e come detto se l’azienda paga a un fondo di solidarietà una cifra almeno uguale alle trattenute effettuate ai lavoratori. Ma l’onnipresenza e la sempre maggiore importanza assunta dalle tecnologie dell’informazione nell’organizzazione delle aziende fanno emergere, come efficiente strumento di protesta, il Net Strike, lo sciopero organizzato in rete ed inteso a colpire gli interessi su Internet della controparte, ovvero l’immagine aziendale.
Lo sciopero in rete, che nelle sue caratteristiche “pure” dovrebbe ispirarsi più a un sit in che a una astensione dal lavoro o a un corteo, in Italia è stato spesso usato per proteste politiche intese a bloccare alcuni siti web, senza danneggiarli ma rendendoli temporaneamente irraggiungibili tramite un sovraccarico di email o di richieste di visualizzazione di specifiche pagine (in questo caso la protesta ricorda più il picchettaggio che lo sciopero) . Altre volte è il Net Strike si svolge tramite la proliferazione di specifiche immagini o frasi di protesta nei profili di migliaia di utenti di Facebook , o all’invio di email a catena per richiamare l’attenzione contro specifici episodi. Esistono anche specifici siti (es: firmiamo.it, che ha raccolto sinora circa 5 milioni di firme) che permettono di creare delle petizioni online a favore o contro specifici comportamenti. In campo sindacale una delle azioni di net strike più riuscite e tecnicamente più complesse è stata attuata dalla RSU della IBM nel settembre del 2007. In quell’occasione il campo di battaglia fu Second Life, un sistema telematico su Internet ove la IBM aveva creato varie sedi virtuali. Lo sciopero, che durò 12 ore, fu organizzato tramite una staffetta di oltre 1800 manifestanti da 30 paesi diversi, i cui avatar, tutti dotati di cartelli e di magliette virtuali che richiamavano i motivi della protesta, bloccarono le zone di proprietà della IBM. L’azione faceva leva sul fatto che ciascuna sede aziendale in rete poteva contenere un numero limitato di visitatori, e la presenza degli scioperanti impediva quindi l’accesso di chiunque altro, fosse un dirigente o un cliente. Va detto che al di là dell’aspetto simbolico, il netstrike ha contribuito alla conquista di concreti risultati, perché il sindacato ha ottenuto l’accordo che voleva. Paradossalmente anche l’azienda ha beneficiato di questa forma di protesta, che ha dimostrato le capacità innovative dei propri dipendenti, anche quando protestano.

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