mercoledì, aprile 05, 2006

Email professorale

Di Patrizio Di Nicola per Rassegna Mese
Aprile 2006


L’email, lo sappiamo, è diventata pervasiva. Milioni di persone la usano, per lavoro o nel tempo libero. Non manca giorno in cui, aprendo la casella di posta, non troviamo decine di nuovi messaggi. Molto più di quanto in passato ricevevamo in termini di fax o di telefonate. Ciò avviene perché dietro all’email vi è un cambiamento di costume: aumenta l’esposizione delle persone agli altri, e usandola ci sentiamo in qualche modo protetti da un coinvolgimento personale che invece il mezzo telefonico richiede. Ma vi sono dei casi in cui l’email rischia di peggiorare la percezione dei rapporti sociali. In un articolo apparso di recente sul New York Times, è stato affrontato l’uso che gli studenti universitari americani fanno dell’email nei confronti dei loro docenti. A parte l’ovvia considerazione che le email espongono i professori ad una pressione che molti considerano eccessiva, tanto di decidere, come regola, di non rispondere, vi è il fatto che usando le email gli studenti spesso si mettono in cattiva luce, come nel caso di uno studente che ha scritto una missiva elettronica al docente annunciando la propria assenza a lezione in quanto “voleva andare a giocare a pallone con il fratello”. Cose americane? No. Anche in Italia succede, a chi sta dietro la cattedra, di ricevere montagne di email dagli studenti. Si va da chi chiede conferma dei libri di testo o degli orari di lezione (entrambi naturalmente regolarmente pubblicati sul sito web della Facoltà), sino a coloro che, prenotati per l’esame, annunciano di non potersi presentare perché i libri sono difficili, loro hanno avuto poco tempo per studiare e, girando voce che il docente è esigente vedono poche speranze di superare la prova. Un comportamento ingenuo che, nonostante la sincerità, non li mette in buona luce. Ma il massimo lo ha raggiunto uno studente che, dopo aver superato l’esame con un voto basso, ha prima deciso di non accettarlo, poi un anno più tardi ha cambiato idea e, ritenendo forse un po’ impegnativo fare la pratica di persona, ha tentato di risolvere la questione per posta elettronica. Insomma, anche se per email non lo si capisce subito, sempre adolescenti rimangono.
Il voto e il mouse

Di Patrizio Di Nicola per Rassegna mese, marzo 2006


Ormai da anni si parla di voto elettronico e, con le elezioni prossime venture, sembrava venuto il momento di introdurre su larga scala le nuove tecnologie nei seggi. D’altronde la legge finanziaria, gia’ da vari anni, attribuisce fondi al Ministero dell’Interno per “il proseguimento degli studi e il perfezionamento delle fasi di realizzazione sperimentale del voto elettronico” (Finanziaria 2003).
Ma schede elettorali e nuove tecnologie sembrano, in tutto il mondo, andare poco d’accordo. Negli USA, ad esempio, uno dei maggiori produttori di terminali per il voto elettronico, la Diebold, è stata oggetto di varie critiche, tanto che sulla popolare enciclopedia online Wikipedia le sue apparecchiature vengono definite “Black Box Voting” (voto a scatola chiusa). Questi amabili apparecchietti non solo hanno un software proprietario che nessuno puo’ verificare per accertarsi di come facciano i conteggi, ma non stampano i risultati dello scrutinio ne’ dispongono di un sistema di autenticazione dei votanti. Molti ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che grazie al voto elettronico la coppia Bush-Cheney abbia ottenuto qualche consistente vantaggio alle elezioni del 2004: secondo Michael Hout, dell’Università di Berkeley, addirittura 260 mila voti in piu’ in Florida. Steven Freeman, professore di Statistica alla University of Pennsylvania, invece, ancora cerca di capire come sia possibile che i sondaggi fatti poco prima delle elezioni siano stati tanto sbagliati, ma solo dove venivano utilizzate i computer per il voto.
Per fortuna, possiamo quindi dire, il governo italiano ha deciso di fare un uso limitatissimo dell’informatica alle elezioni di aprile 2006. Gli elettori di Lazio, Puglia, Sardegna e Liguria (ove è prevista la sperimentazione dell’elettronica) voteranno come d’uso, con scheda e penna. I loro voti saranno scrutinati in due modi, quello tradizionale e tramite un computer, che servirà solo da abaco elettronico. In caso di discordanza tra conteggio umano e calcolo informatico, avra’ prevalenza il primo, quasi a ricordarci che sempre di macchine si tratta. E che, elettronica o meno, quel che conta è solo la democrazia, cioè il rispetto delle scelte dei cittadini.