giovedì, marzo 18, 2010

Fuga dall’Istruzione?

Nello scorso mese di settembre due bravi ricercatori della Banca d’Italia, Federico Cingano e Piero Cipollone, hanno dato alle stampe un rapporto, originariamente destinato alla Commissione di indagine sul lavoro guidata da Pierre Carniti, sul rendimento dell’istruzione. Il report, in pratica, cerca di calcolare quale sia la convenienza, per una famiglia, di investire sulle risorse umane, ad esempio facendo frequentare l’Università ai figli, anziché convertire i risparmi in titoli. Il rendimento privato dell’istruzione è calcolato come differenza tra i benefici (in termini di maggiori stipendi e maggior probabilità di occupazione) e i costi (tasse scolastiche, acquisto di materiali didattici, mancati guadagni, ecc. ) associati alla decisione di incrementare il proprio livello di istruzione. Secondo i due studiosi, in Italia il tasso di rendimento privato dell’istruzione è circa il 9 per cento, valore ben superiore a quello ottenibile da investimenti finanziari ed è lievemente superiore nelle regioni del Sud rispetto al Centro Nord. Se poi il sistema fiscale fosse più equo, e penalizzasse di meno gli stipendi appena sopra la media, il rendimento aumenterebbe al 10%. Il rendimento privato è solo una parte dei benefici di una migliore istruzione. Se le famiglie decidono di investire in questo campo, infatti, aumentano anche i benefici per la società: maggiore istruzione significa più produttività, più innovazione tecnologica, più incassi per il fisco. In via indiretta, la maggiore istruzione è collegata, secondo molte ricerche svolte in Italia e all’estero, anche a un miglioramento della salute, alla minore criminalità, a un maggior grado di libertà politica. Insomma, tutti avrebbero da guadagnare da un aumento dell’istruzione: le famiglie e la società. Invece, nel Bel Paese, le Università, martoriate da tagli e riforme e contraddittorie, sono allo stremo, e le immatricolazioni in calo. Il numero degli iscritti al primo anno, tra il 2002 e il 2008, è diminuito di oltre 50 mila unità, e i diplomati che entrano all’università sono calati dal 74 al 58%. Una debacle dell’istruzione, accentuata dal fatto che alla maggioranza dei laureati vengono offerti esclusivamente lavori precari, e retribuzioni di 1000 euro. In queste condizioni, chi vuole perdere anni sui libri?
Conoscenza sprecata

Il mondo digitale, è noto, vive di contenuti. Internet, a differenza dei media che lo hanno preceduto (come la stampa, la radio e la televisione), è fortemente bidirezionale. Permette a chiunque lo usi non solo di selezionare cosa “vedere”, ma anche di produrre e diffondere propri materiali. Su questo, in fin dei conti, poggiano le fortune di YouTube, che permette la libera circolazione di propri video, oppure di Flicker (per le foto), o i blog (per il testo). Certo, non tutti i contenuti sono di qualità, nel senso che nessuno può garantire che una voce su Wikipedia sia veritiera al 100%, oppure che uno scoop che appare su un blog sia davvero tale, e non una “bufala”, destinata a mettere nel sacco il giornalista che abbocca. Per garantire la qualità, anche su Internet, bisogna affidarsi a professionisti, come i giornalisti, che controllano le fonti e sono oggettivi. Naturalmente i contenuti professionali costano cari, e quindi gli utenti di internet dovranno abituarsi a pagare ciò che oggi ottengono gratuitamente. La Apple, straconvinta dell’assioma qualità=costo ha anche prodotto un apposto apparato, l’Ipad, che ci permetterà di comprare e fruire con facilità libri, giornali, musica, film. Tutto bene, quindi? Non proprio: ma chi ha detto che i contenuti di qualità sono solo questi? Ogni anno, nelle Università italiane, si laureano circa 300 mila studenti. Ognuno di questi scrive una tesi, cioè un elaborato che somiglia a – spesso è - un libro, su un qualsiasi argomento dello scibile umano, dall’ingegneria alla filosofia. E’ un contenuto di qualità in quanto, seppur sia stato scritto da un giovane studioso, egli è stato assistito da un docente (il relatore) e il suo lavoro ha subito una lettura critica di un secondo docente (il correlatore). Ebbene, tutta questa massa di conoscenza dove si trova? Al momento una piccola parte risiede su Tesionline.it, un portale che dal 2000 permette ai laureati di vendere il diritto di accesso alla propria tesi, garantendo loro una piccola retribuzione per ogni copia letta. Ma l’Università come Grande Istituzione che produce sapere è sconsolatamente assente da questa arena, mostrando una miopia da talpa e una sensibilità da rinoceronte. E intanto le tesi di laurea continuano ad ammuffire negli scantinati degli atenei.