martedì, novembre 11, 2014
L’occupazione nell’era digitale
La crisi globale iniziata nel 2008, come purtroppo sappiamo, ha falcidiato il lavoro: sono andati persi milioni di impieghi nel mondo, e quelli rimasti si sono precarizzati in durata e retribuzioni. Per fronteggiare tale situazione tutti i Governi hanno inventato ricette fantasiose, spesso baloccandosi nell’idea che la ripresa sarebbe tornata spontaneamente e all’improvviso come era arrivata la crisi. Pochi si sono posti la domanda cruciale, e cioè se nel nostro mondo, dominato dall’economia digitale e dalla necessità di innovare continuamente prodotti e servizi facendoli costare di meno, vi fosse ancora spazio per il lavoro. Due ricercatori del MIT di Boston, Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee, nel 2011 avevano dato alle stampe un bel libro (Race Against The Machine: How the Digital Revolution is Accelerating Innovation, Driving Productivity, and Irreversibly Transforming Employment and the Economy) nel quale sostenevano che la crescita post crisi sarebbe stata senza occupazione. E ciò non per motivi macro-economici (la produttività globale, ad esempio), ma a causa dell’impatto della tecnologia sulle competenze, le retribuzioni e l’occupazione: i computer svolgono oggi molte delle attività un tempo riservate all’uomo e in breve potranno sostituire le persone in attività sinora considerate appannaggio degli “umani”, come guidare le automobili, tradurre testi, riconoscere schemi complessi. In verità il timore verso le nuove tecnologie ha sempre “spiazzato” l’umanità, che ha reagito in alcuni casi in maniera violenta (si pensi al luddismo e agli scioperi contro lo Scientific Management). In passato le nuove tecnologie hanno prodotto più lavori nuovi dei vecchi che hanno distrutto, ma non è detto che questo trend possa continuare, inoltre i nuovi lavori nascono in posti diversi rispetto a quelli scomparsi, mandando in bancarotta intere nazioni. Nel nuovo libro da poco pubblicato in America (The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies) I due autori offrono una soluzione alla politica per “vincere la gara contro le macchine”: investire molto nei sistemi educativi; sostenere e incoraggiare l'imprenditorialità, necessaria per sostituire i posti che andranno persi; introdurre una imposta negativa sul reddito per mantenere uno standard minimo di vita per tutti e sostenere i consumi. In definitiva la politica deve guardare al futuro (cosa che non sempre accade, neanche negli USA).
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