Il mondo digitale nei decreti di fine anno
Di Patrizio Di Nicola per Rassegna Mese
Sono molte le novità che le due più importanti leggi di fine anno portano nel modo di vita digitale. La 247/2007, che ha convertito ufficialmente il Protocollo sul Welfare, rilancia il telelavoro: il comma 37, dedicato al lavoro delle persone con disabilità, prevede che le aziende possano ottenere un rimborso per introdurre il telelavoro. Il comma 81, invece, rafforza l’articolo 9 della legge 53/2000 al fine di potenziare il lavoro a distanza. Non si tratta certo di una novità, in quanto la legge già prevedeva l’uso del telelavoro per aumentare la flessibilità del lavoro e permettere alle donne una migliore conciliazione tra lavoro e famiglia. Ma, come noto, le imprese paiono odiare quelle forme di flessibilità che piacciono ai lavoratori (come appunto il telelavoro), mentre sono diventate espertissime di contratti precari, stage e retribuzioni ridotte (che invece sono amate solo dagli imprenditori).
Ancora più nutrito il “sale” digitale che troviamo nella finanziaria 2008: si va dall’abolizione delle letterine di carta tra le pubbliche amministrazioni (che finalmente, per informarsi, useranno le più economiche email) sino alla migrazione dei sistemi telefonici verso la telefonia VOIP (tipo Skype, per intenderci): Beppe Grillo ne sarà certamente contento, ma chi dovrà assicurare la riservatezza delle comunicazioni molto meno. Un incentivo all’uso della telematica verrà sicuramente dalla riduzione del bollo su domande, denunce e atti presentate da imprese individuali per via telematica all'ufficio del registro (ma perché non da qualsiasi tipo di impresa?). L’art. 1, comma 131, stabilisce che a partire dal 2009 le certificazioni fiscali rilasciate dalle amministrazioni dello Stato ai propri dipendenti, saranno inviate esclusivamente per via telematica all'indirizzo di posta elettronica assegnato a ciascun dipendente. Il che, ovviamente, implica che ogni dipendente abbia un suo indirizzo email, e che soprattutto poi non stampi la certificazione ricevuta tramite le costose stampanti dell’ufficio: altrimenti era preferibile lasciare tutto come prima. Per finire una cattiva notizia: è stato rinviata al 31 dicembre 2008 l'accesso ai servizi erogati in rete dalle pubbliche amministrazioni tramite carta d'identità elettronica. Era scontato, ovviamente: chi di noi ha la carta digitale?
domenica, febbraio 03, 2008
La rivoluzione Open Source
Di Patrizio Di Nicola per Rassegna Mese
Come noto il mondo del software oscilla tra il rigido controllo dei copyright e delle licenze d’uso e la libera distribuzione dei codici sorgenti dei programmi. Alfiere della prima posizione è, non a caso, la Microsoft, società che detiene, grazie anche a pratiche commerciali messe in discussione da più parti, il monopolio di fatto sui sistemi operativi per PC. Sull’altro versante si situa il cosiddetto “movimento Open Source”: un enorme numero di programmatori che hanno realizzato un network mondiale per la produzione di software libero: spesso gratuito, ma soprattutto liberamente distribuibile ed utilizzabile. Prodotti di vertice di questa famiglia sono il sistema operativo Linux e la suite di videoscrittura Open Office. Molte nazioni del terzo e quarto mondo hanno deciso di adottare i software liberi da copyright per il loro ridotto costo di gestione, nonché per le poche pretese in termini di hardware: in pratica questi programmi funzionano bene anche su computer di vecchia generazione. La stessa cosa non si può dire dei sistemi operativi della Microsoft, come sa chi ha provato ad installare Vista. Arriva ora la notizia che la British educational IT agency (Becta), ente governativo che ha la missione di rendere disponibile alle scuole le migliori tecnologie informatiche, ha invitato gli istituti scolastici a non siglare contratti di licenza con la Microsoft. La compagnia, accusa Becta, chiede alle scuole una licenza per ogni Pc, a prescindere dall'installazione del proprio software: una forma di tassa sull’acquisto dei computer, insomma. Ma soprattutto, afferma l’agenzia del governo inglese, i sistemi operativi della casa di Redmond creano problemi di interoperabilità per le scuole, gli alunni e le famiglie che desiderano utilizzare alternative a Microsoft Office. L'agenzia ha anche invitato le scuole ad aumentare l’impiego del software open source, stimando che in questo modo si possa risparmiare fino al 50% nella scuola primaria e attorno al 20% nella secondaria. A pensarla così non sono ovviamente solo gli inglesi: in Turchia l'uso del software open source è diventato parte del curriculum scolastico, mentre in Croazia tutti gli insegnanti e gli impiegati statali riceveranno i manuali, anch’essi gratuiti, per imparare ad utilizzare Open Office. E’ la rivoluzione dell’Open Source: vi è chi rifiuta di pagare quello che si può avere liberamente.
Di Patrizio Di Nicola per Rassegna Mese
Come noto il mondo del software oscilla tra il rigido controllo dei copyright e delle licenze d’uso e la libera distribuzione dei codici sorgenti dei programmi. Alfiere della prima posizione è, non a caso, la Microsoft, società che detiene, grazie anche a pratiche commerciali messe in discussione da più parti, il monopolio di fatto sui sistemi operativi per PC. Sull’altro versante si situa il cosiddetto “movimento Open Source”: un enorme numero di programmatori che hanno realizzato un network mondiale per la produzione di software libero: spesso gratuito, ma soprattutto liberamente distribuibile ed utilizzabile. Prodotti di vertice di questa famiglia sono il sistema operativo Linux e la suite di videoscrittura Open Office. Molte nazioni del terzo e quarto mondo hanno deciso di adottare i software liberi da copyright per il loro ridotto costo di gestione, nonché per le poche pretese in termini di hardware: in pratica questi programmi funzionano bene anche su computer di vecchia generazione. La stessa cosa non si può dire dei sistemi operativi della Microsoft, come sa chi ha provato ad installare Vista. Arriva ora la notizia che la British educational IT agency (Becta), ente governativo che ha la missione di rendere disponibile alle scuole le migliori tecnologie informatiche, ha invitato gli istituti scolastici a non siglare contratti di licenza con la Microsoft. La compagnia, accusa Becta, chiede alle scuole una licenza per ogni Pc, a prescindere dall'installazione del proprio software: una forma di tassa sull’acquisto dei computer, insomma. Ma soprattutto, afferma l’agenzia del governo inglese, i sistemi operativi della casa di Redmond creano problemi di interoperabilità per le scuole, gli alunni e le famiglie che desiderano utilizzare alternative a Microsoft Office. L'agenzia ha anche invitato le scuole ad aumentare l’impiego del software open source, stimando che in questo modo si possa risparmiare fino al 50% nella scuola primaria e attorno al 20% nella secondaria. A pensarla così non sono ovviamente solo gli inglesi: in Turchia l'uso del software open source è diventato parte del curriculum scolastico, mentre in Croazia tutti gli insegnanti e gli impiegati statali riceveranno i manuali, anch’essi gratuiti, per imparare ad utilizzare Open Office. E’ la rivoluzione dell’Open Source: vi è chi rifiuta di pagare quello che si può avere liberamente.
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