Record olimpici e scarpette miracolose
Tra poco inizieranno le olimpiadi cinesi. Nonostante le molte proteste per il Tibet e i diritti umani negati, c’e’ da scommetterci che i grandi del mondo saranno tutti li, a dimostrare che forse tanto grandi non sono se debbono correre ad inchinarsi all’altare del potente partner commerciale orientale. Anche noi, come miliardi di persone, saremo davanti alla TV (o forse a You Tube, che a differenze delle trasmissioni via etere è difficilmente censurabile) con l’idea di goderci lo sport. Che male c’e’? Vedremo atleti provenienti da tutto il mondo, senza differenza di razza, continente, sesso o età, che faranno del loro meglio per correre più veloce dell’altro. Qualche commentatore ci ricorderà quanta tecnologia si nasconde dietro le loro scarpette di gomma o le magliette di nylon: è anche grazie all’abbigliamento che riusciranno a migliorare qualche record. Allora ci ricorderemo, spero, che come denunciato in tutto il mondo dalla campagna PlayFair 2008, dietro all’abbigliamento sportivo che rende ricche e potenti le multinazionali del settore vi è la fatica, in condizioni semischiavistiche, di centinaia di migliaia di lavoratori in Cina, India, Cambogia. La Adidas ha sponsorizzato per 100 milioni di dollari le Olimpiadi, ma nessuno dei suoi operai sarà alla cerimonia iniziale, in quanto quel costo nessun lavoratore cinese se lo puo’ permettere. La Cina è la nuova mecca dei produttori di articoli sportivi, e non solo per il costo del lavoro. Nel grande paese comunista i sindacati sono considerati legali solo se affiliati alla Federazione nazionale cinese dei sindacati (ACFTU), la quale è controllata dal governo. Gli scioperi sono quasi sempre repressi, in quanto considerati una minaccia per l’ordine pubblico secondo una norma del 1982. Nelle fabbriche sindacalizzate i lavoratori sono rappresentati da funzionari non eletti, ma spesso scelti tra i dirigenti dell’impresa stessa. Inutile dire che questi sindacalisti si danno ben poco da fare per migliorare le condizioni di lavoro o i diritti dei lavoratori. Ma ben altre storie dell’orrore si trovano nel report scaricabile da www.abitipuliti.org. E pensare che nell’antica Grecia gli atleti olimpici si esibivano nudi. Forse se tornassimo alle origini ne guadagneremmo in molti modi.
sabato, luglio 12, 2008
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